Sono stato a visitare "cose rare e preziose del Museo di Capodimonte", "l'arme e i cavalieri canto". Le mie due guide 'volontarie' hanno fatto vedere come sulle armature fossero incise le storie dei cavalieri antichi, di eroi e miti ancor più antichi. Ed io pensavo a come queste armature ed i loro inquilini avrebbero in seguito fornito materia di scrittura a poeti e e di ornamento a cesellatori d'acciaio.
Hanno letto da Chrétien de Troyes e dall'Orlando: la vestizione delle armi dei cavalieri. Così ripenso al senno di Orlando smarrito per amore sulla Luna, alla svestizione della lucida e pesante armatura di Lancillotto di fronte a Ginevra (cone si vede e sente nel film di Bresson) a all'Olifante che suona invano a Roncisvalle.
Le catene di pensieri ed associazioni per quanto partano da lontano finiscono sempre là dove è il centro dei tuoi interessi. Così ricordo come avessi usato la metafora di Orlando a Roncisvalle per parlare di ciò che accadeva al nostro progetto. Ma la metafora non fu capita o forse io stesso non ho suonato abbastanza forte, ed ora la ripeto, come se parlassi di cavalieri antichi e usassi questa storia come fregio di una nuova armatura. Fino a quando sarò in grado di reggerne il peso.
Tra Roncisvalle e le Termopili (novembre 2004)
Quell'anno in una delle tante ricerche sulla dispersione scolastica vennero proposte delle associazioni di idee per indagare indirettamente sul modo di vedere dell’intervistato. Una di queste proponeva l’associazione della dispersine scolastica ad una opera o immagine letteraria. Un tecnico di laboratorio di un istituto professionale – quindi una persona che non coltivava professionalmente lo studio della letteratura – rispose senza esitazione “Orlando a Roncisvalle”. E alla domanda sul perché avesse fatta quella associazione aggiunse: “Perché suona il corno e nessuno lo sente”.
Orlando, dopo la vittoria di Carlo Magno sui saraceni era stato lasciato alla retroguardia a difendere le spalle dell’esercito. In realtà c’era stata una congiura per organizzargli un agguato. Orlando aveva un corno dal suono possente per chiamare in aiuto il grosso delle forze, ma non volle suonare se non quando era ormai morente. Si sa quindi che fu proprio Orlando a non voler suonare l’Olifante, tuttavia in molte parafrasi consultate ho ritrovato questo falso ricordo: Orlando suona e non viene ascoltato.
Forse – interpreto – Orlando, come accade ai bambini mai ascoltati, non suona perché teme di non essere ascoltato. Oppure, come accade, sentendosi tradito e deluso, preferì lasciarsi morire non senza aver suonato tradivamente l'olifante, come un messaggio senza destinatario. Questa immagine mi torna alla mente in questi giorni mentre decolla l’ennesimo progetto, l’ennesimo tentativo di affrontare l’epica battaglia contro la dispersione scolastica e formativa: dovremmo essere la retroguardia di un esercito vittorioso che sa dare ai giovani cultura, istruzione, speranze, ed invece ho la sensazione che le cose non stiano in questo modo. . Mi torna in mente anche Leonida guerriero ultrasessantenne che, insieme a trecento giovani opliti, alle Termopili ferma l’avanzata dei barbari per dare tempo alle città dell’Attica di organizzare un grande esercito. Ma il confronto più pertinente sembra proprio quello di Orlando morto in una battaglia in fondo inutile, per causa combinata di un tradimento, di una vendetta degli sconfitti, del proprio orgoglio e della propria fedeltà di perfetto paladino.
A me sembra che da sette anni stiamo combattendo una battaglia di civiltà pensando di dover difendere le spalle di un esercito che si riorganizza, ma questo nel frattempo si è messo comodo e si è dimenticato che il nemico preme alle porte. Peggio ancora mi sembra che qualche consigliere fraudolento abbia indicato i migliori paladini non per difendere le spalle del re ma per perderli mentre i cortigiani continuano imperterriti a tessere trame di potere.
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Ritorno a Roncisvalle e alle Termopili: siamo in uno stretto passaggio che abbiamo scelto e fortificato a nostre spese e siamo decisi a difenderlo e facciamo sentire lontano il corno che annuncia l’infuriare della battaglia. Staremo a vedere se qualcuno vorrà almeno cogliere i frutti del nostro lavoro. Per quel che ci riguarda siamo convinti che dobbiamo fare la nostra parte in modo preciso e determinato tanto più quanto più siamo convinti che saremo sconfitti non sul campo ma nel palazzo che ci ospita perchè a ben vedere non ha alcun interesse in quello che stiamo facendo.
Solo alla fine sapremo se la nostra battaglia di retroguardia sarà servita a preparare il grosso dell’esercito o se si sarà trattato dell’avventura quasi romantica del primo paladino tra intrighi, agguati e tradimenti.
Speriamo che almeno ci sia un teatro dei pupi a raccontare l’avventura.
[Cesare Moreno]
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